Fino a ieri, chi sviluppava applicazioni o vendeva beni tramite piattaforme digitali si trovava in un labirinto fiscale. Dove si applica l’IVA? Chi deve dichiararla? E in quale Paese? Domande tutt’altro che secondarie per chi opera nel mercato digitale europeo.
Con le conclusioni dell’avvocato generale nella causa C-101/24 (Xyrality), la Corte di giustizia dell’Unione europea potrebbe consolidare un principio fondamentale: se una piattaforma controlla la transazione, detta le regole e gestisce il pagamento, allora è la piattaforma stessa a dover essere considerata fornitrice del servizio o del bene, ai fini IVA. Non chi ha realizzato l’app o spedito il prodotto.
Questo principio, già stabilito per i servizi digitali resi tramite app store, è stato progressivamente esteso anche al commercio elettronico di beni grazie al pacchetto IVA per l’e-commerce del 2021. In pratica, il venditore terzo che usa Amazon, eBay o simili non è più chiamato a districarsi tra 27 sistemi IVA nazionali. Se la piattaforma agisce “in nome proprio”, è lei a dover applicare, calcolare e versare l’imposta.
Il vantaggio è doppio. Per lo Stato, si semplifica la riscossione e si riduce l’evasione. Per l’operatore economico, si eliminano oneri amministrativi sproporzionati, come doversi identificare fiscalmente in ogni Stato membro in cui ha clienti.
Cambierà qualcosa, quindi, per chi vende tramite piattaforme? In molti casi, è già cambiato. Ma la linea tracciata da queste conclusioni spinge in una direzione chiara: responsabilità fiscale a chi controlla l’interfaccia. Vale per chi sviluppa un’app, per chi vende beni, per chi eroga servizi digitali.